17 febbraio 2019
Non piangete sul latte versato
Il detto popolare “piangere sul latte versato” equivale a dire che non serve a nulla piangere sui disastri, quando il danno è fatto. Invece il Gallo del mattino non trattiene le lacrimucce, e tento di consolarlo spiegandogli che 10.000 litri di latte buttato via equivalgono a 6000 euro, perché ai pastori sardi il latte viene pagato a 60 centesimi al litro. Fa segno di no, scuotendo i bargigli. Lo capisco. Viene da piangere perché abbiamo la percezione che venga sprecato un bene nutritivo di alto valore, soprattutto per i bambini. La sacrosanta protesta, ha avuto il giusto clamore nelle immagini trasmesse da tutti i media, ma è costata poco, tutto sommato. Se il latte costasse di più non si sarebbe sprecato quel ben di Dio. Le mucche e le pecore lo fanno gratis, ma i pastori non fanno solo la mungitura per portare sulle nostre tavole latte e formaggio. Mi viene da collegare il fatto di cronaca, che speriamo si risolva presto e bene, a un'altra denuncia fatta da un Vescovo italiano (Modena) nella Lettera alla città, rivolta “alla società civile ed ecclesiale” a favore della famiglia “grembo gratuito della vita”. Perché oggi la famiglia si rifiuta di generare figli “che costano” troppo? Siamo nel caso opposto del latte che costa poco. “Le politiche sociali più efficaci passano attraverso il sostegno alla natalità e quindi dovrebbero essere soprattutto politiche familiari. Troppe volte in questi ultimi decenni abbiamo sentito proclamare i “valori della famiglia” in modo astratto e retorico, senza un adeguato appoggio economico alla famiglia... I Paesi occidentali che hanno effettivamente sostenuto la famiglia con politiche sociali incisive e concrete a tutela della genatorialità, destinandovi risorse percentualmente maggiori e persino doppie o triple rispetto a quelle italiane, sono riuscite a frenare frenare l'inverno demografico. Le piste sono tracciate da tempo, come dimostrano le esperienze positive in questi Paesi: ingresso più celere dei giovani nel mercato del lavoro che riduca l'arco di scolarizzazione e l'età media del primo impiego; maggiori incentivi alla professionalità femminile che non costringa la donna a scegliere tra lavoro e maternità; la riduzione del costo dei figli attraverso il quoziente familiare, gli incentivi fiscali e la disponibilità dei servizi per l'infanzia a costo accessibile e ragionevole; le agevolazioni alle coppie che si impegnano a costruire una famiglie anche per l'accesso alla prima casa” (Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola, Lettera alla città, 31 gennaio 2019). La citazione è solo uno stralcio. La lettera dell'Arcivescovo merita una lettura approfondita da parte degli economisti e dei politici. Specialmente quelli di ultima generazione, che amano soluzioni “tampone”, promesse elettorali e non “politiche sociali e familiari” di lungo respiro. Il rischio? Di piangere sul latte versato, ancora una volta, tra qualche anno. Intanto abbiamo il Tav, di reddito di cittadinanza, i porti ben chiusi agli immigranti. Il Gallo ora tace. Così, per scuoterlo, gli do un'imbeccata: “Sai cosa disse un bambino, vissuto in città, alla domanda se sapesse da dove provenisse il latte?” Il Gallo: “Penso di sì; perché cosa disse?” Il bambino, che non aveva mai visto una mucca e una stalla, rispose della maestra: “Il latte lo fa il distributore automatico. Basta mettere un euro”.